Città private in Honduras

6 11 2011

Direttamente tratto dal sito web del Movimento Libertario, ecco un interessante articolo redatto da Luca Fusari ke tratta di alcune evoluzioni e novità sulla realizzazioni di città indipendenti ovvero di MicroNazioni delle dimensioni di una città sulla terraferma. In passato già avevo scritto ke tentare simili esperimenti su terraferma era praticamente impossibile (anke se nn impossibile), cn qsto articolo si aprono nuove prospettive. A voi la lettura:

Dopo essersi dimesso (pur restando nel consiglio di amministrazione dei soci) nell’estate di quest’anno dal ruolo di responsabile del Seasteading Institute (organizzazione da lui fondata nel 2008) a seguito dei dissidi interni in relazione al modesto budget sin qui raccolto (si parla di soli 2 milioni di dollari stanziati effettivamente) per poter realizzare concretamente l’onerosa isola artificiale galleggiante sognata dal tycoon libertario Peter Thiel (tra i principali soci finanziatori dell’istituto) al largo di San Diego, Patri Friedman, il più famoso seasteader libertario, è tornato alla ribalta quale amministratore delegato di una nuova azienda, Future Cities Development Inc. (FCD) nata con l’obbiettivo di fondare nuove città rette da sistemi giuridici all’avanguardia di natura libertaria questa volta non in acqua ma sulla terraferma.

Tra i membri della nuova società di Friedman vi è Giancarlo Ibàgüen, presidente dell’Università Francisco Marroquin  in Guatemala (in essa, vi è la biblioteca dedicata all’economista austriaco Ludwig von Mises e i busti di Friedrich von Hayek e Milton Friedman che decorano il campus accademico).

Ibàgüen è uno dei fondatori recenti dell’annunciato Free Cities Institute assieme a Michael Strong, un think tank dedicato proprio al tema delle città libere di prossima realizzazione.

Il Guatemala è quindi un importante centro del pensiero libertario presente in Sud America in grado di contribuire al progetto delle città libere proposto in Honduras da Friedman.

Se il Seasteading (ovvero la creazione di nazioni sovrane galleggianti in mare aperto, una delle soluzioni proposte dal pensiero libertario al fine di sfuggire dai vincoli opprimenti degli attuali Stati-nazione) ha ricevuto in passato ampia copertura all’estero, talvolta assai ironica e beffarda dai principali media che ne hanno parlato, il progetto di città volontarie su terraferma promosso ora da Friedman, verrà valutato molto probabilmente diversamente quanto a sua realizzabilità, esso ha infatti trovato in Honduras il luogo ideale per la sua prossima realizzazione.

Il governo locale honduregno ha infatti modificato la sua costituzione nel mese di gennaio di quest’anno permettendo la creazione di speciali zone autonome esenti dal rispetto delle leggi locali e federali.

Future Cities ha firmato un non vincolante protocollo d’intesa per costruire a partire dall’anno prossimo una città libertaria in una delle zone autonome.

Patri Friedman recentemente ha rivelato su Details in merito all’articolo dedicato al suo ex finanziatore Thiel,  il modello della sua nuova startup.

Il modello potenziale è qualcosa che Friedman chiama “Appletopia”: ovvero una realtà avente come modello commerciale di gradimento e riferimento presso il pubblico (come suo brand) l’azienda della mela.

Friedman ritiene che: “Iniziare una Nazione è come iniziare un business, più è desiderabile una Nazione, più è valutabile a livello d’investimento immobiliare“.

Future Cities segue questo approccio, descrivendo la sua missione nel portare avanti lo “spirito della Silicon Valley a livello di innovazione per l’attuazione di sistemi giuridici all’avanguardia per le nuove città“.

Il suo ruolo è quello di sviluppatore principale della città al fine di favorire l’attrazione e la concentrazione iniziale di risorse ed investimenti al fine di realizzare i primi nuclei abitativi.

L’azienda ha come modelli di città del laissez-faire Hong Kong e Singapore, i suoi amministratori ritengono che i diritti di proprietà debbano essere solidi  e forti, favorevoli alla libertà di impresa al fine di favorire la creazione di posti di lavoro, attraendo con tali premesse i successivi investimenti dei privati, permettendo così a milioni di persone di sfuggire dalla povertà, al pari di quanto avviene in Cina con la creazione di speciali zone economiche ad alto fattore d’investimento e capitalizzazione.

Per chi giudica anche tale progetto come un’altra utopia libertaria, Friedman ritiene invece che le prove siano assai evidenti e favorevoli alla sua realizzazione: dove vi è uno stato di diritto, onestà e la mancanza di corruzione (leggasi mancanza di legislazione derivante dalla politica), vi è una maggior crescita economica rispetto anche alle zone a bassa tassazione (che da sola non è di per sè sufficiente come fattore, come il caso di Singapore dimostra).

Rispetto al seasteading, Future Cities si basa sulla modellazione delle città statutarie, analoghe alle città volontarie, quest’ultime già presenti in giro per il mondo e in particolare negli Stati Uniti.

 L’economista della New York University, Paul Romer, spiega come una città statutaria, unisca e combini tra loro i terreni della nazione ospite (in questo caso quelli dell’Honduras) con un sistema giuridico ed istituzionale di un’altra Nazione (ad esempio il Canada, ma nulla impedisce di adottarne altri anche di nuova ideazione) con i suoi abitanti provenienti anche da vari altri Paesi (in relazione al tipo di legislazione adottata nella città statutaria).

L’intuizione centrale di Romer è che il buon governo è trapiantabile quale forma concorrenziale alla Nazione e al suo governo centrale (quindi anche con un possibile sviluppo potenzialmente panarchico o di città-stato indipendente).

Piuttosto che aspettare che una nazione riesca a risollevarsi dalla propria condizione di sottosviluppo, l’esempio di una città statutaria potrebbe aiutare a mostrare la strada ad essa, come avvenne con Hong Kong ai tempi di Deng Xiaoping.

Romer ha trascorso due anni viaggiando attraverso l’Africa cercando inutilmente possibili interessati al fine di mettere in pratica le sue idee; infine nell’autunno del 2010, si è imbattuto nel presidente honduregno Porfirio Lobo interessato al progetto.

Nel mese di febbraio, il Congresso dell’Honduras ha votato per emendare la costituzione per creare regioni a sviluppo speciale (abbreviate in ‘RED’) al fine di mettere in pratica le sue idee.

Questo accordo non è in esclusiva, Romer, dichiara di aver sentito parlare un mese fa dell’interesse di FCD quando la sua proposta è stata sottoposta al comitato che supervisiona le aree RED (di cui Romer è membro).

Le brochure di Future Cities citano ripetutamente ed esplicitamente il modello delle città statutarie come il loro modello, Patri Friedman afferma che la sua azienda si è ispirata al modello di Romer anche se questo non significa che ci sia una relazione tra le due associazioni.

Da parte sua, Romer sottolinea che non ha alcun coinvolgimento con FCD, citando il suo think tank no-profit come una organizzazione senza scopo di lucro e senza interessi economici.

E’ comunque nell’opinione anche di Romer che la globalizzazione dei mercati possa servire per scopi umanitari al fine di creare nuovo lavoro, riqualificare l’ambiente ed iniziare un percorso per far uscire dalla povertà la popolazione di quei Paesi, senza però da parte sua, aver intenzione di fare soldi con tale progetto.

L’interesse di FCD per l’Honduras è concreto, rimane da vedere se l’accordo non vincolante di FCD con il governo dell’Honduras rimarrà in vigore e avrà degli sviluppi o se invece rimarrà in sospeso congelando il modello di città statutarie ad una data meno prossima di realizzazione.

L’Honduras è un Paese che negli ultimi tempi ha visto un colpo di Stato, espropri e violazione dei diritti umani, quindi bisognerà verificare se l’attuale situazione politica si manterrà stabile e favorevole come ora anche in futuro per la realizzazione dei progetti libertari e il trasferimento di investimenti in tali zone.

Il modello di città statutarie ha infatti subito ricevuto critiche sia nel modello proposto da Romer che nella forma proposta da FCD, venendo giudicato e paragonato ad una forma poco lusinghiera di “colonialismo” da vari movimenti di sinistra honduregna ma sopratutto dall’ideologa del movimento no-global, Naomi Klein.

La scrittrice nella sua isteria complottista ed anticapitalista, attribuisce erroneamente nei suoi libri al libero mercato la natura delle crisi politiche di alcuni Stati a regime socialista (Cile 1970, passando per l’URSS nel 1990, sino alla crisi economica del Sud America del 2000) incolpando quali responsabili di tali eventi (derivanti dall’impopolarità e dal fallimento delle scelte pianificate del socialismo specie a livello monetario da parte di enti internazionali sovranazionali) gli economisti del dipartimento di economia dell’Università di Chicago, capeggiati dalla figura di Milton Friedman; i quali certo non brillavano per laissez-faire di mercato (contrariamente a quanto ritenuto dai loro trinariciuti detrattori socialisti).

Agli occhi della no-global (ignorante anche dei vari punti di vista presenti all’interno della famiglia Friedman), Patri Friedman essendo nipote di Milton viene da lei ritenuto automaticamente come il nuovo l’emissario e prosecutore di questa presunta “occulta agenda” ideata a Chicago, arrivando in termini surreali a porre una inverosimile equivalenza tra gli attuali progetti libertari  di privatopie anarcocapitaliste proposte nei Paesi dell’America Latina più poveri da FCD (al momento ancora sulla carta), con le idee monetariste e di liberismo politico temperato da riforme politiche, proposte da suo nonno ben quarant’anni fa!.

Klein ignora la visione di Patri Friedman, la quale non è minimamente paragonabile a quella di suo nonno, dato che il nipote al pari del genitore David (autore quest’ultimo anarcocapitalista di ambito utilitarista) hanno sempre giudicato negativamente le proposte riformatrici del loro illustre parente, proprio in relazione all’eccesso di regolamentazione e di poco spontaneo libero mercato previsto da tali suoi provvedimenti.

Patri Friedman da parte sua, si è sempre dichiarato come un libertario anarcocapitalista prossimo all’anarchia, senza dubbio poco incline alla politicizzazione dell’economia o al ruolo dei governi e dei politici nelle scelte dei singoli individui.

Giudicare quindi con stantii schemi ideologici (peraltro assai grossolani) il suo progetto inaugurato solo in funzione del cognome che questi porta, dimostra la debolezza e la pochezza culturale delle obiezioni mossegli dai suoi detrattori.

Egli non a caso non se ne preoccupa molto e con aria di sfida afferma a fronte di queste sinistre maldicenze che “è il pubblico reale, il popolo dell’Honduras, ciò che conta non ciò che immagina Naomi Klein sul passato.

Se riusciamo a creare lavoro e costruire migliori città rispetto a ciò che hanno adesso, loro saranno senza dubbio più felici“.





Cercasi Principe per Filettino

22 08 2011

Stemma Principato di FilettinoLa voglia di indipendenza, ovvero di far da sè xkè si ottengono risultati migliori e nn si paga ingiusto pegno a ki comanda senza esserne capace, si sta diffondendo sempre +.
La notizia è riportata  da vai giornali cm ad esempio La Repubblica e diversi altri ke potete leggere direttamente dal blog Filettino on WordPress insieme ad altri articoli inerenti la qstione.
Eccone riportato uno tra i tanti, ben dettagliato e completo, scritto dalla penna di Paolo Conti x il Corriere della Sera:

FILETTINO (Frosinone) – «Stiamo pensando di interpellare il giovane principe, il figlio dell’ erede…». Emanuele Filiberto di Savoia? «Lui. Una provocazione, lo so, ma almeno così verrebbero tutti a capire perché ci opponiamo alla soppressione del nostro Comune. E che non costiamo allo Stato, ma anzi chiudiamo il bilancio in attivo, a fine 2011 conto di avere in cassa 400 mila euro risparmiati. Magari, chissà, il ragazzo potrebbe essere interessato al titolo di Principe di Filettino. Ci affideremo all’ avvocato Carlo Taormina per capire come avviare l’ iter per chiedere l’ autonomia e arrivare al Principato…».

Il sindaco Luca Sellari, 46 anni, in carica dal 16 maggio 2011 alla guida di una lista civica («metà centrodestra e metà centrosinistra, più civica di così») non va sottovalutato, anche se governa da una sede che sembra una villetta in collina. Conosce bene le regole della comunicazione, viene da una famiglia di solidi imprenditori di Frosinone («Sellari Immobiliare, agenzie in tutta Italia», recita la pubblicità) e sa che il gioco mediatico del Principato può fruttare molto a Filettino: in visibilità, quindi in turismo, cioè in ricchezza diffusa. È già arrivata la tv tedesca. Ben venga dunque Emanuele Filiberto. Il Savoia interessato per ora liquida tutto con una battuta: «Ringrazio per aver pensato a me, ma francamente la vedo un’ ipotesi assai complicata e difficilmente praticabile. Anche se… in fondo so sciare abbastanza bene».

Nel frattempo, Sellari ha già stampato (200 euro di investimento di tasca propria) un pacco da diecimila finte banconote del principato con la sua immagine. Valore 10 fioriti «che per noi valgono 20 euro, potrei anche dare una mano a Tremonti per risanare il bilancio… Ma i nostri “soldi” sono già finiti, sono venuti da Sora, Cassino, Avezzano, Capistrano dopo aver visto la tv». Prova generale del lancio di un prodotto: il Principato di Filettino. Riuscita alla grande. Tanto da immaginare una convention nazionale a settembre, tra questi monti, dei mini Comuni destinati alla cancellazione.

Fin qui (Emanuele Filiberto, le banconote, forse anche la battuta sull’ avvocato Taormina) siamo al gioco. Veniamo alle cose serie. E Sellari cambia passo: «Siamo solo 554 abitanti ma ospitiamo 5.800 seconde case di turisti, presenze estive e invernali da 10-13 mila persone nelle due stagioni con punte da 20 mila a Ferragosto perché a quota 1.063 metri siamo il Comune più alto del Lazio. Controlliamo il 22% del territorio del Parco dei Monti Simbruini, qui sgorga la fonte dell’ Aniene con una capacità da 4.000 mila litri al secondo e disseta 70 Comuni laziali, se mai ne deviassimo il corso mezzo Lazio sarebbe in ginocchio, siamo località sciistica d’ inverno e climatica d’ estate. Abbiamo appena 8 dipendenti e un bilancio che non supera i 2 milioni di euro, con l’ attivo che ho detto, e provvediamo ai bisogni del turismo».

Una pausa, una confidenza: «La mia simpatia politica va istintivamente al centrodestra ma non capisco perché Berlusconi e Tremonti vogliano distruggere tradizioni secolari, consuetudini e legami sociali, la stessa dignità dei piccoli centri. Dovrebbero capire, Berlusconi e Tremonti, che chiudere i piccoli Comuni sarà come chiudere le piccole imprese… e poi gli abitanti di Filettino non accetteranno mai di fondersi con quelli là, finiremmo col portare solo soldi senza avere niente in cambio. Loro sì, hanno bei problemi di bilancio».

Quelli là, gli innominabili, sono i duemila abitanti di Trevi nel Lazio, appena 9 chilometri di distanza che segnano un abisso incolmabile. Incomprensioni, ostilità, irrisioni secolari. Per quelli di Filettino darsi del «trebano» (ovvero abitante di Trevi) equivale a un insulto. Assicura Sellari: «Due giorni fa mi ha fatto chiamare una vecchietta di 91 anni che aveva saputo tutto dal tg. Appena arrivato mi ha detto: “Senti, sindaco, io ormai ho più di novant’ anni e preferisco morire subito, adesso, piuttosto che iscritta all’ anagrafe di Trevi”. È la verità, giuro, nomi e cognomi».

La conferma più sacra viene da don Alessandro De Sanctis, 93 anni portati (se non fosse banale scriverlo) miracolosamente, parroco di Filettino dal ‘ 49 (il più longevo d’ Italia) ed erede dello zio paterno parroco don Filippo («la mia famiglia guida la parrocchia da 105 anni»). Dalla sua fantastica terrazza che si affaccia sul Monte Cotento, 2014 metri, e sul Viglio, 2156, protesta lucidissimo (d’ estate celebra quattro Sante Messe domenicali in scioltezza): «I piccoli Comuni sono le perle d’ Italia, le famiglie nelle grandi città si disperdono, qui restano unite. I soldi? A noi Provincia e Regione non danno che briciole, siamo autonomi». E Trevi, reverendo? Gli occhi azzurrissimi hanno un sussulto: «Da sempre c’ è incomprensione… Finiremmo con l’ essere oppressi. Oppressi! Loro hanno un che di superbo, erano già municipio romano dai tempi della Repubblica e poi dell’ Impero, Filettino venne fondata solo verso il 1000 dopo Cristo. Ma noi abbiamo il turismo, l’ acqua dell’ Aniene, la gloria di questi monti. Insomma finire con Trevi? Sarebbe una ver-go-gna! Se organizzassero un referendum sull’ autonomia sarebbe un plebiscito».

Concordano tutti in piazza Giuditta Tavani Arquati, dove dal 24 dicembre al 6 gennaio è sempre acceso giorno e notte un gran falò a disposizione di chiunque voglia cucinare o scaldarsi. Concordano i coniugi Enerico (così, con la “e” al centro di Enrico) Scocchi e Rosamaria Giulitti, da quarant’ anni titolari del ristorante «La galleria» (indimenticabili le sontuose tagliatelle al ragù di agnello). Soprattutto lei, Rosamaria, la cuoca, è furiosa: «Andare con Trevi? Mai! Quelli ci stendono, e poi non capiscono niente, non sono abituati al turismo e usano ancora un dialetto antichissimo. Insomma, con Trevi non se ne parla».

Dieci passi più in là, ed ecco il bar «Risorgimento», autentico omaggio all’ eroina della piazza, moglie del filettinese Francesco Arquati, uccisa con lui e il loro figlio dodicenne Antonio alla Lungaretta, Roma, il 25 ottobre 1867 dagli zuavi pontifici. La gestione è da 22 anni nelle mani di una rara «coppia mista»: Gianfranco Pomponi (da Trevi) e Ada Rossi (da Filettino). Ma il vincolo matrimoniale, e il bar in piazza, ha trascinato anche lui su posizioni filettinesi: «No, non mi sembra una cosa giusta chiudere il Comune, funziona bene così». Assai più agguerrita lei, e chissà cosa accade tra le mura domestiche: «Finire “sotto a Trevi” non va bene, noi abbiamo anche un campo da sci, Campo Staffi è roba nostra, e loro, lì, cosa hanno? Niente».

È l’ ora dell’ aperitivo e capita Celestino Alunni, romano, dal 1978 titolare di una seconda casa a Filettino: «Aderisco subito al Principato, un’ idea geniale. Vuoi mettere quando dico: “Ho una piccola casa nel Principato di Filettino”. Elegante, no? Scherzi a parte, qui si sta benone, il Comune ci obbliga anche alla raccolta differenziata, tutto funziona abbastanza, ma perché in questa Italia dovrebbero buttare via qualcosa che gira per il verso giusto?».

Nel frattempo funziona benissimo la pubblicità. Da due giorni il Comune è assediato da curiosi ma anche da proprietari di seconde case, soprattutto romani, che cercano il sindaco e si dichiarano pronti a cambiare residenza per evitare che Filettino scompaia come Comune autonomo e finisca «sotto» Trevi. A furia di sentirlo dire nei bar, nei ristoranti, a Campo Staffi, anche i turisti hanno un moto di fastidio quando gli nomini i trebani. Intanto, a Palazzo Chigi parlano di accorpamenti. Chissà quante Filettino, e quante Trevi, litigano lungo lo Stivale del 150° anniversario dell’ Unità.

Corollario di qsta notizia: in Italia si può stampare moneta alternativa e qindi volendo sin da subito EdenEuro, la futura moneta della libera Repubblica dell’Isola di Eden 😉

P.S.: 28 Agosto 2011 Online a tempo di record il sito web del Principato di Filettino





La scienza suona l’allarme: cambiare i modelli di sviluppo

4 07 2011

Direttamente dal sito greenreport.it un ennesimo articolo di preoccupazione x la situazione planetaria scritto da Gianfranco Bologna e alcune mie  integrazioni  al fondo:

“Mentre la comunità internazionale continua a preparare la conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile che avrà luogo a Rio de Janeiro nel giugno del 2012 (vedasi il sito www.uncsd2012.org) , la comunità scientifica internazionale continua a rendere noti i risultati di importanti ricerche che sottolineano il pesante e grave impatto umano sui sistemi naturali.

La scienza richiama quindi sempre di più l’urgenza e la concretezza nell’intervenire rapidamente per cambiare corso ai nostri modelli di sviluppo basati sulla crescita economica materiale e quantitativa. Anche in queste recenti settimane si sono avuti importanti seminari scientifici che hanno fatto il punto sulla situazione dei sistemi naturali del nostro bellissimo pianeta. Sono stati resi noti, ad esempio, i risultati del meeting degli esperti mondiali degli oceani riuniti dall’International Programme on the State of the Ocean (IPSO), dalla World Conservation Union (IUCN) e dall’International Geosphere Biosphere Programme (IGBP) all’Università di Oxford nell’aprile scorso, nel rapporto “State of the Ocean” (vedasi il rapporto sul sito dell’IUCN, www.iucn.org). E’ stato poi rilasciato il rapporto “The Critical Decade. Climate science, risks and responses” dalla Climate Commission del governo australiano presieduta dal grande scienziato Will Steffen (vedasiwww.climatecommission.gov.au) e a metà giugno si è tenuto a Stoccolma, organizzato dall’International Geosphere Biosphere Programme (IGBP) e dalla Royal Swedish Academsy of Sciences, il workshop di scienziati su “Planetary Stewardship: solutions for a responsible development” (vedasi il sito www.igbp.net).

In questi rapporti e in questi workshop la comunità scientifica esprime forte preoccupazione sullo stato di salute degli ecosistemi degli oceani, sullo stato di salute del sistema climatico, sottolinea il forte deterioramento esistente nelle relazioni tra i sistemi naturali e i sistemi umani, richiamando ad una forte responsabilità i decisori politici ed economici.

Ho scritto più volte, nelle pagine di questa rubrica, sul concetto e le pubblicazioni scientifiche relative ai cosidetti “Planetary Boundaries”, i nostri “confini planetari” che gli scienziati hanno iniziato ad indicarci. Sin dalla pubblicazione su “Nature” del primo lavoro sui Planetary Boundaries dedicai un’intera rubrica al tema. Era il settembre del 2009 (l’articolo si intitola “A Safe Operating Space for Humanity” ed è apparso su “Nature” vol. 461; September 2009; 472-475).
Quella pubblicazione, frutto della collaborazione di 29 tra i maggiori scienziati delle scienze del sistema Terra e della scienza della sostenibilità, tra i quali il premio Nobel Paul Crutzen, è dedicata a sottolineare come il nostro impatto sui sistemi naturali stia facendo preoccupare l’intera comunità scientifica, perché in molte situazioni siamo vicini a dei punti critici (a delle vere e proprie “soglie”), oltrepassati i quali gli effetti a cascata che ne derivano possono essere devastanti per l’umanità. Per questo motivo i 29 scienziati indicano quelli che loro definiscono “i confini del pianeta” (Planetary Boundaries) che l’intervento umano non può superare, pena effetti veramente negativi e drammatici per tutti i sistemi sociali.

Il rapporto ricorda che la specie umana ha potuto godere negli ultimi 10mila anni (nel periodo geologico definito Olocene dell’era Quaternaria) di una situazione, pur nelle ovvie dinamiche evolutive che interessano tutti i sistemi naturali, di una discreta stabilità delle condizioni climatiche ed ambientali che ci hanno consentito di incrementare il numero di esseri umani ed anche le nostre capacità di utilizzo e trasformazione delle risorse.

Oggi invece, secondo la comunità scientifica (come abbiamo più volte ricordato in questa rubrica) ci troviamo in un nuovo periodo, definito proprio dal premio Nobel Paul Crutzen, Antropocene, così chiamato a dimostrazione di come la pressione umana sui sistemi naturali del pianeta sia diventata talmente pesante ed evidente da essere paragonabile alle grandi forze geologiche che hanno modificato la Terra durante l’arco di tutta la sua vita.

Gli studiosi ci ricordano che esiste un grave rischio per l’umanità dovuto all’inaccettabile cambiamento prodotto da noi stessi nel passaggio dall’Olocene all’Antropocene. Questa pressione è oggi a livelli veramente elevati, come ci dimostrano tutte le ricerche del Global Environment Change (il cambiamento ambientale globale) oggetto di approfondite analisi da parte di tutti gli scienziati del sistema Terra (vedasi il sito www.essp.org).

Pertanto i 29 scienziati hanno individuato, nell’analisi pubblicata su “Nature” che rimanda ad un rapporto più esteso pubblicato sulla rivista “Ecology and Society” (vedasi www.ecologyandsociety.org) nove grandi “confini”planetari e sottolineano che per tre di questi, le ricerche svolte sin qui dimostrano che siamo già oltre il “confine” che non avremmo dovuto sorpassare.
Questi nove confini indicati sono: il cambiamento climatico, l’acidificazione degli oceani, la riduzione della fascia di ozono nella stratosfera, la modificazione del ciclo biogeochimico dell’azoto e del fosforo, l’utilizzo globale di acqua, i cambiamenti nell’utilizzo del suolo, la perdita di biodiversità, la diffusione di aerosol atmosferici, l’inquinamento dovuto ai prodotti chimici antropogenici.
Per tre di questi, come già detto, e cioè cambiamento climatico, perdita di biodiversità e ciclo dell’azoto siamo già oltre il confine indicato dagli scienziati.

Per il cambiamento climatico si tratta sia della concentrazione dell’anidride carbonica nell’atmosfera (calcolata in parti per milione di volume – ppm -) che del cambiamento del forcing radiativo, cioè per dirla in maniera molto semplice la differenza tra quanta energia “entra” e quanta “esce” dall’atmosfera (calcolata in watt per metro quadro).

Per la concentrazione di anidride carbonica nel periodo pre industriale, eravamo a 280 ppm, oggi siamo a 387 (il dato attuale è già a 390 ppm) e dovremmo scendere, come obiettivo, al confine già superato di 350 (immaginatevi la portata della sfida di questo limite che, tra l’altro, non è affatto oggetto di discussione per le ultime conferenze delle Parti della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici, la prossima delle quali avrà luogo a fine anno a Durban in Sud Africa, dove si parla di percentuali di riduzioni di emissioni di gas climalteranti che porterebbero a concentrazioni di CO2 nella composizione chimica dell’atmosfera ben superiori alle 350 ppm indicate). Per quanto riguarda il forcing radiativo in era preindustriale è calcolato zero, oggi è 1.5 watt per metro quadro, il confine accettabile viene indicato dagli studiosi a 1 watt per metro quadro.

Per la perdita di biodiversità si valuta il tasso di estinzione, cioè il numero di specie estinte per milione all’anno. A livello pre industriale si ritiene che questo tasso fosse tra 0.1 e 1, oggi viene calcolato a più di 100, deve invece rientrare, come obiettivo, nel confine ritenuto accettabile di 10.

Per il ciclo dell’azoto si calcola l’ammontare di azoto rimosso dall’atmosfera per utilizzo umano (in milioni di tonnellate l’anno). A livello preindustriale si ritiene che tale ammontare fosse zero, oggi è calcolato in 121 milioni di tonnellate l’anno, mentre il confine accettabile, come obiettivo, viene indicato in 35 milioni di tonnellate annue.

Così gli studiosi indicano i confini, dove lo ritengono possibile, anche per gli altri sei ambiti prima ricordati (per ogni ulteriore informazione è bene visitare il sito dell’autorevole Stockholm Resilience Centre www.stockholmresilience.org i cui direttori Carl Folke e Johan Rockstrom sono tra gli autori del rapporto).

A febbraio di quest’anno, in un’importante pubblicazione scientifica apparsa sulla rivista “Environmental Research Letters” dal titolo “Reconsiderations of the planetary boundary for phosphorus” , due grandi esperti in materia, Stephen Carpenter, dell’Università di Wisconsin-Madison ed Elena Bennett della McGill University, hanno dimostrato che il confine planetario per l’eutrofizzazione provocata negli ecosistemi di acqua dolce da parte dell’inquinamento da fosforo si è già incrociato con gli eventi di anossia nelle zone degli oceani e dei mari dove si verifica la perdita di tante forme di vita dovute proprio all’eccesso di fosforo derivante dall’inquinamento agricolo e urbano. Gli autori fanno presente che il lavoro originale apparso su “Nature” relativo ai Planetary Boundaries, non ha considerato i fenomeni di eutrofizzazione degli ecosistemi di acqua dolce, focalizzandosi solo su quelli marini.

Considerando entrambi, come hanno fatto con i loro calcoli, Carpenter e Bennett, il nostro confine planetario sul fosforo è già superato. Il fosforo è un elemento essenziale alla vita ma la sua produzione industriale, non solo erode le disponibilità degli stock di fosforo presenti sul pianeta concentrati in poche nazioni e con un rischio di esaurimento in tempi molto brevi nei prossimi venti anni, ma il suo eccesso nelle acque, è la causa primaria delle proliferazioni algali (alcune delle quali contengono i Cianobatteri tossici) che degradano la qualità delle acque, inquinandole e privandole della vita. I depositi di fosfati che costituiscono miniere importanti per l’agricoltura ci hanno messo milioni di anni per formarsi (le nazioni con le riserve maggiori sono Stati Uniti, Cina e Marocco), ed è una pura follia distruggerli in tempi brevi provocando un drammatico inquinamento da fosforo.

Gli avvertimenti del mondo scientifico non possono restare a lungo inascoltati.”

CM anke in Report nella puntata del 23 Maggio 2010 “L’ultima mattanza” a cura di Sabrina Giannini:

La pesca al tonno è l’ultima frontiera di una caccia ancora sfruttabile dall’industria. Ma proprio a causa del sempre più crescente consumo di tonno in scatola molte specie sono eccessivamente sfruttate. La storia del tonno in scatola e del tonno rosso del Mediterraneo, quasi in estinzione a causa dei giapponesi e della “moda” del sushi, sono il paradigma per capire quanto sia stupido l’uomo nel gestire le risorse del pianeta. Troppi interessi e le ipocrisie dei politici ruotano intorno all’industria e alla pesca industriale del tonno e alle politiche mondiali per la conservazione delle specie sull’orlo dell’estinzione. E il consumatore che, a causa della scarsa informazione in etichetta, non sempre è in grado di capire che con il proprio comportamento alimentare rischia di far sparire per sempre il pesce più importante per gli equilibri del mare. Andando avanti così ai nostri figli lasceremo in eredità il sushi a base di riso e fagioli azuki.

Qi il video della puntata di Report su RAI3 “L’ULTIMA MATTANZA

CM se nn bastasse anke ANNOZERO si è occupato dello sfruttamento del mare Adriatico in uno speciale del 28 Giugno 2011 a kiusura della stagione 2011 su RAI2 mostrandoci ke ormai la situazione è disperata, qsto il video  “SPECIALE ANNOZERO – L’ASSASSINIO DEL MARE

Un modello di sviluppo alternativo Edeniano è il Capitalismo Circoscritto ke è in parte condiviso anke dal FMI o IMF all’inglese, almeno cm principio di base 😉





Referendum indipendentista in Catalogna

13 04 2011

Domenica 10 Aprile 2011 si è tenuto una specie di referendum consultivo a Barcellona e in 20 comuni limitrofi in Catalogna nella penisola iberica e territorio dello stato di Spagna.
Qesta iniziativa nn era un vero referendum bensí un’azione dimostrativa dv è stato rivendicato solo il “diritto di poter decidere” (Dret de decidir) sull’indipendenza della Catalogna dalla Spagna, stato dv i referendum consultivi su qesti argomenti sn proibiti dalla costituzione e qindi nn legalmente riconosciuti.
Qesto di “Barcelona Decideix”, piattaforma ke raggruppa tutti i movimenti e le associazioni con intenti separatisti, è stato solo l’ultimo di altri 500 referendum organizzati in altri comuni catalani e si è dovuto presentare cm “consultazione” promossa da associazioni civike.

La consultazione è stata completamente autogestita, autofinanziata e realizzata senza alcun supporto istituzionale. Il comune di Barcellona nn ha concesso nessun locale pubblico e anke la Chiesa Cattolica nella persona dell’Arcivescovo ha vietato l’uso delle sale parrocchiali.

In un’intervista a Radio Catalunya, l’ex-Presidente del Partito nazionalista democristiano catalano (Convergència i Unió – CiU) ed ex-presidente del Parlamento Catalano (Generalitat de Catalunya) Jordi Pujol ha assicurato di aver votato “Si” all’autodeterminazione, dichiarando ke “nn restano argomenti validi x opporsi in qual si voglia modo all’indipendenza !”.
Hanno votato “sì” anke l’attuale presidente del Parlamento Catalano (Generalitat de Catalunya) Artur Mas cn tutti i suoi ministri, ke qi si chiamano Consellers, e tutti i leaders politici esclusi solo popolari e socialisti.

Paesi catalani (in cat. Països Catalans) è la denominazione usata xlo+ dai nazionalisti catalani e da alcuni settori del nazionalismo valenzano x indicare l’insieme di territori storici in cui si parla la lingua catalana.

All’interno dei confini spagnoli essi sono:

Al di fuori della Spagna includono

Il simbolo del desiderio di appartenenza dei Paesi catalani è la bandiera detta Estelada o “La Senyera”.

I Catalani, in generale, nn si considerano parte dello stato spagnolo ma solo sottomessi a partire dal Regno di Castiglia nel 1714. Purtoppo, da allora, hanno perso tutte le guerre e oggi lavorano democraticamente e pacificamente x ottenere la loro libertà e indipendenza dallo stato spagnolo.

Del resto provate a dare dello “spagnolo” a un abitante di Barcellona e qello potrebbe inveirvi contro.

Lo scenario ke emerge dai risultati del referendum consultivo basato sulla domanda:
“Volete ke la Catalogna diventi uno Stato indipendente, sociale e democratico, membro dell’Unione europea ?”
s’è pronunciato x il “Sì” il 90% dei votanti.
A dire il vero l’affluenza è stata molto bassa, pari al 21,3% dei cittadini iscritti sulle liste elettorali ufficiali, circa 260mila persone e, considerando ke le votazioni toccavano 20 comuni oltre al capoluogo catalano, il risultato complessivo di affluenza arriva al 18.14%.
Il risultato arriva 3 giorni prima del voto del parlamento regionale catalano riguardo un primo disegno di legge su una reale possibile scissione, cn conseguente proclamazione d’indipendenza.

Dopo le Fiandre, nelle quali è in atto una separazione democratica da Bruxelles (da + di 300 giorni i Fiamminghi si rifiutano di formare un governo assieme ai Valloni-francofoni!), è in arrivo anke la crescente voglia di autodeterminazione Catalana: nuove gatte da pelare x i mondialisti accentratori dell’Unione Europea, qelli ke vorrebbero cancellare le sovranità nazionali !





Legge di PARETO, Legge della DOMINAZIONE

18 02 2011

Testo di Gilles Bonafi, titolo e fonte originale: Loi de Pareto, la loi de la domination ! . Traduzione italiana ripresa dal sito www.comedonchiscotte.org

“Ecco una legge fondamentale spiegata semplicemente e che è al cuore delle mie analisi economiche.

Tutte le organizzazioni sociali dipendono da una legge matematica fondamentale, la legge di Pareto, o, meglio, la legge della dominazione, che prova che in un qualsiasi sistema organizzato, un piccolo numero di persone si impossessa sempre della quasi totalità delle ricchezze a scapito degli altri.

Sul piano matematico, le rendite si ripartiscono così secondo una legge matematica decrescente ad andamento esponenziale. L’economista Moshe Levy spiega che “la legge di Pareto, lontana dall’essere universale e ineluttabile, non sarebbe altro che il modo di funzionamento specifico di una società egocentrica” e che “sono gli effetti stocastici (e non l’intelligenza e il lavoro) della concorrenza che arricchiscono alcuni a svantaggio della maggioranza, conducendo alla distribuzione di Pareto.”

Una società egocentrica dunque (finché si prova a capire il mondo, si finisce invariabilmente per trovarsi all’interno del cervello umano), che ha posizionato la banca al cuore del sistema economico. La riscossione degli interessi, interdetta da tutte le religioni [perché finiscono per ridurre il debitore ad uno schiavo (versetto 275 della seconda sura del Corano per esempio )] è diventate la regola.

Bisogna aggiungere che questa legge possiede un funzionamento frattale, cioè che questo principio si applica in seno al 20 % dei dominanti, etc, etc., e si assiste ad un iper-concentrazione del capitale nelle mani di solo alcuni.”

X rimanere nell’ambito della matematica, è importante capire cos’è un frattale. Un frattale è un oggetto geometrico ke si ripete nella sua struttura allo stesso modo su scale diverse, ovvero ke nn cambia aspetto anke se visto cn una lente d’ingrandimento. Nel ns caso ad un esempio, il 20% dei + ricchi detiene l’80% del capitale, ma all’interno di qesto 20% si applica ancora (si ripete) la legge di Pareto, e così via… Infatti, le 20 persone + ricche del mondo hanno un capitale personale stimato nel 2009 a 415 miliardi di dollari, ossia poco meno del PIL svizzero (500 miliardi di dollari)! (Lista degli uomini più ricchi del mondo secondo la rivista Forbes riportata da Wikipedia)

“L’economista Michel Choussudovsky ha d’altronde recentemente spiegato : «siamo arrivati a un punto di accumulazione del potere e della ricchezza che è senza precedenti nella storia, in un periodo molto molto breve… In fin dei conti, c’è una concentrazione del potere economico a un punto tale che chi deve prendere decisioni politiche ne è in qualche misura soggetto. Si diventa strumenti del potere e conomico e c’è nello stesso tempo una centralizzazione di questo potere.”

Una crescita esponenziale del capitale accumulato di cui la controparte è una crescita esponenziale del debito, il che porterà ineluttabilmente all’affondamento di questo sistema, con due esiti possibili :

– una dittatura contro «il migliore dei mondi», ciò che si potrebbe chiamare una démoctature [demodittatura] riassunta da Aldous Huxley. “Uno Stato totalitario davvero ‘efficiente’ sarebbe quello in cui l’onnipotente comitato esecutivo dei capi politici e la loro armata di direttori esercitassero la longa manus su una popolazione di schiavi tanto che sarebbe inutile controbattere, perché questi conserverebbero l’amore della loro servitù”

– una vera democrazia che permetta alla fine la chiarezza, «il cervello collettivo» Tutto il problema è sapere se noi saremmo capaci di modificare i nostri comportamenti basati sulla predazione, sul tutto all’ego.

La crisi attuale è una crisi di coscienza, una guerra fra l’Io” (il capitalismo) e il “Noi” (il comunismo).
La terza via sarà quella che terrà conto infine dell’importanza della relazione fra “sé” e gli altri.
Il paradigma materialista alla fine si disintegra e noi dobbiamo cambiare livello di coscienza perché la maniera in cui noi percepiamo il mondo crea il mondo stesso. Ecco la grande rivoluzione della fisica quantistica applicata all’economia.

I cittadini della libera Repubblica dell’Isola di Eden intendono rappresentare qsta terza via, consci del fatto ke solo una diversa visione e organizzazione del mondo possa garantire un futuro degno di qsto nome a tutti gli abitanti del pianeta Terra. Il capitalismo circoscritto ne è un esempio esplicativo.





In Campania nn scherzano

14 01 2011

I fermenti dell’autodeterminazione sn sempre + estesi in Italia, dalla Padania della Lega al nord anke il sud vuole la sua libertà da Roma ladrona. Cm riportato dal Sole24ore di oggi ecco un aggiornamento delle situazione di cui avevo già scritto su qst blog:

«Mai!». Al Carroccio può non piacere, ma l’esempio più luminoso dell’orgoglio longobardo arriva dal profondo Sud. Siamo a Salerno, è il 774, e Arechi II risponde così alla richiesta di sottomissione ai Franchi dopo che Carlo Magno aveva sconfitto a Pavia Desiderio, suocero di Arechi, e aveva cancellato dalle cartine la Langobardia Maior.

Arechi non è stato dimenticato, e ora vogliono intitolare a lui la futura regione di Salerno, la resurrezione del principato appena chiesta da 60 comuni della provincia che si vogliono staccare dalla Campania. L’idea è nata nella mente di Edmondo Cirielli, il presidente della provincia di Salerno che ideò e poi “ripudiò” la legge per accorciare i tempi di prescrizione ed evitare il carcere a Cesare Previti nel processo Imi-Sir, e ha subito avuto successo: la Cassazione deciderà il 1° febbraio sulla richiesta depositata da 54 comuni della provincia (420mila abitanti, 70mila più del quorum), e nel frattempo altre sette amministrazioni hanno approvato la delibera con l’adesione al progetto. Se tutto va come deve, Cirielli conta di affrontare il referendum a giugno, per poi imbarcarsi nella modifica costituzionale in Parlamento.

Oltre a Longobardi e principati, alla base della proposta ci sono due ragioni che non si trovano nei libri di storia ma sui giornali: «Essere accomunati a Napoli e ai suoi disastri sui rifiuti è un danno d’immagine che non possiamo più sopportare», spiega Cirielli che, mentre il capoluogo di regione passa da emergenza a emergenza, vanta per la sua provincia una percentuale svizzera (60,2%, quarto posto in Italia) nella raccolta differenziata. Poi, come in ogni secessione che si rispetti, c’è un problema di soldi: nei calcoli di Cirielli l’autonomia da Napoli vale almeno 500 milioni all’anno, perché «la provincia versa due miliardi di addizionali Irpef e Irap e ne riceve meno del 75% in termini di spesa e servizi».

All’indipendentismo cilentano guardano molti occhi interessati. Se il referendum darà la giusta spinta, giurano i promotori, molti sono pronti a salire sul treno della nuova regione, da Avellino a Benevento, ma in zona è tutto un ribollire di creatività geografica. A maggio, quando le ipotesi di cancellazione delle mini-province stavano per condurre sul patibolo quella di Isernia, la coordinatrice beneventana del Pdl, Nunzia Di Girolamo, aveva rispolverato la vecchia idea del Molisannio, una regione che dovrebbe unire Benevento al Molise; insieme a Moldaunia (Molise + Daunia, a nord della Puglia), Sannio-Irpinia-Cilento, Grande Lucania, non c’è confine ballerino che non abbia il proprio bravo comitato promotore. A Salerno guarda poi ovviamente il Grande Salento, che il 1° febbraio dovrà passare insieme agli indipendentisti salernitani lo stesso esame alla Cassazione per far partire la macchina referendaria.

l referendum è il primo scoglio, perché per passare deve spingere al sì «la maggioranza degli elettori iscritti nelle liste elettorali dei comuni nei quali è stato indetto» (lo prevede la legge 352/1970). I problemi veri, però, vengono dopo. L’elenco delle regioni è scritto all’articolo 131 della Costituzione, e per cambiarlo serve una legge approvata quattro volte con i due terzi del Parlamento per essere messa al riparo da nuovi referendum conservativi.
Conoscono bene tutte le difficoltà i comuni che negli anni hanno accolto con plebisciti entusiasti l’idea di abbandonare Veneto o Piemonte per abbracciare le gioie dello Statuto speciale. San Michele al Tagliamento ha chiamato alle urne i propri cittadini nel 1991, ha ottenuto l’89% di voti per il passaggio al Friuli, è riuscito a far dichiarare incostituzionale la vecchia legge che imponeva il “sì” degli enti rappresentanti di almeno un terzo della popolazione delle regioni interessate. Nonostante tutte le vittorie, però, il comune rimane saldamente ancorato alla provincia di Venezia, come sono rimasti finora in Veneto Cortina e gli altri comuni dell’alto bellunese che hanno alle spalle una battaglia ventennale.

Con il via libera al referendum da parte di tutta la provincia di Belluno, ora la battaglia cambia di piano ma non si semplifica. «Invece di spingere per venire da noi – ha subito chiarito Luis Durnwalder, presidente della provincia di Bolzano e governatore di turno del Trentino Alto Adige – chiedano l’autonomia a Zaia e a Galan che, fino a prova contraria, sono molto vicini alla Lega e al Pdl, e quindi al governo».
Immediata la reazione dei bellunesi, che ieri hanno ricordato il «valore relativo» dei pareri (obbligatori ma non vincolanti) della regione di destinazione, ma l’eventuale convivenza non sarà facile. Con tutti i suoi vantaggi (i comuni trentini hanno entrate medie superiori dell’80-85% rispetto a quelli veneti, come ha ricordato ieri la Cgia di Mestre), lo Statuto speciale è un club d’élite, ed entrarci è complicato.

Più facile passare da una regione all’altra nei territori “normali”, come testimonia il fatto che la Valmarecchia offre finora l’unico trasloco (dalle Marche all’Emilia Romagna) arrivato a destinazione. Un buon viatico per l’inquieto comune di Spinazzola, che da Bari è passato alla nuova provincia Bat (Barletta, Andria e Trani) e nei giorni scorsi ha minacciato di salutare la Puglia per andare in Basilicata contro la decisione della giunta Vendola di chiudere l’ospedale locale.

E c’è ki suggerisce una via + classica ovvero fare un bel referendum di autodeterminazione sotto controllo dell’ Unione Europea e dell’ONU invece dei 4 passaggi parlamentari inventanti solo x affossare qalsiasi tentativo di autodeterminazione di un popolo, di una regione o di un gruppo di province.
Lo stato centrale nn può opporsi a questo tipo di referendum il cui esito deve essere impugnato solo alle Nazioni Unite. Qesta è la strada percorsa dal Montenegro, dal Kossovo e tra poki mesi percorsa da Scozia e Catalunya.





STEP ONE – primo passo (1° puntata)

24 09 2010

Tra meno di 5 mesi, a febbraio 2011, sarà il 3° anniversario della nascita di qst blog e della discesa in rete del progetto della libera Repubblica dell’Isola di Eden.
Qindi sarebbe ora di vedere integrato il sito Web, il blog ed il Forum in un unico sistema informatico dove iniziare anke a creare ed aggregare i primi cittadini Edeniani.

Qindi x tale data mi piacerebbe realizzare finalmente lo STEP ONE o Primo Passo cm descritto in “Progetto Eden come il progetto Apollo“, post pubblicato poco + di un anno fà su qst blog.

Si tratta di concretizzare un gruppo di Edeniani fondatori della prima Repubblica aterritoriale, ovvero senza territorio fisico sul pianeta Terra, e virtuale, ovvero la cui presenza è inizialmente solo sulla grande rete Internet, i qali creeranno così una comunità online ovvero saranno i pioneri del popolo Edeniano. Lo scopo principale è realizzare le infrastrutture del Governo della libera Repubblica dell’Isola di Eden e renderle fruibili a tutti gli Edeniani dando così inizio all’avventura Edeniana nei fatti oltre ke nelle parole.

Il primo passo consiste in pratica nell’acquisto di un servizio al nome di Server Dedicato ovvero di un PC presso una server farm di un qalke noto ISP o Internet Service Provider italiano o estero indifferentemente in qanto inizialmente ciò nn costituirebbe alcun problema strategico. All’avvio 1 Server Dedicato sarà sufficiente ma in seguito ne saranno necessari obbligatoriamente 2 x motivi ke andrò a spiegare + avanti.

In realtà + ke di un acqisto si tratta di un noleggio in via continuativa di un PC con tanto di sistema operativo e applicativi base il cui costo è rappresentato da un canone annuale. Una volta formalizzato il contratto, da rinnovare anno dopo anno, avremo un PC connesso in rete internet tutto x noi su cui costruire la parte virtuale della libera Repubblica dell’Isola di Eden ovvero realizzare principalmente l’anagrafe Edeniana e la Banca Centrale dell’Isola di Eden ovvero la ns BCIE integrate all’interno dello spazio Web del sito www.isoladieden.com e .it attuali e del nuovo dominio http://www.isoladieden.ei ovvero creando il ns country code top-level domain o ccTLD nel suffisso .ei (dato ke il suffisso .ie già esiste ed indica l’Irlanda) ke rappresenta l’abbreviazione di Eden Island ovvero l’equivalente in lingua inglese internazionale del ns Isola di Eden. Tale ccTLD sarà ovviamente nn ufficiale e qindi nn riconosciuto dall’ente internazionale ke gestisce tale sistema ovvero l’ICANN ma è possibile realizzarlo tramite un servizio DNS (Domain Name Server) implementato sul ns Server Dedicato e qindi rendendolo di pubblico accesso e disponibile a tutti i navigatori della grande rete internet nello stesso modo in cui operano ad esempio servizi cm OpenDNS.com o Google Public DNS o FoolDNS.com.
Tra l’altro vi consiglio vivamente di conoscerli e di usarli al posto di qelli di base forniti in automatico dal vs provider di collegamento ad internet x evitare tanti fastidiosi e noiosi problemi di navigazione cm siti infetti da virus etc etc.

Scommetto ke qi  le cose iniziano a diventare complicate x i + o x qanti usano internet senza xò averne la minima idea di cm funziona tecnicamente la grande rete qindi procederò x gradi onde rendere il + possibile esplicito il tutto.

Riepilogando, è ns intenzione realizzare una nazione virtuale online e x farlo occorre avere il controllo di un PC collegato permanentemente alla rete internet e in seguito minimo 2. Sarà qindi necessario implementare una serie di programmi software atti a gestire i diversi servizi tecnici e amministrativi necessari allo scopo di rendere accessibile il sistema a tutti e rendere visibile e attivo il Governo della libera Repubblica di Eden online.

I primi servizi da trasferire sul Server Dedicato e rendere operativi sn:
– il sito Web http://www.isoladieden.com e .it
– il blog attuale e qello di ogni singolo cittadino Edeniano
– il Forum privato dei cittadini Edeniani cm forma iniziale di autogoverno della comunità Edeniana
– il Forum pubblico aperto a tutti i navigatori della grande rete e centro di discussione e aggregazione
e subito a seguire i primi servizi da creare sul Server Dedicato e rendere operativi sn:
– il DNS (Domain Name Server) relativo al nuovo nome di dominio IsoladiEden.EI
– l’anagrafe della libera Repubblica dell’Isola di Eden
– la Banca Centrale dell’Isola di Eden (BCIE) e i c/c online di ogni cittadino Edeniano in EdenEuro

L’offerta verrà allargata anke agli altri mondi micronazionalisti in modo da creare il + ampio supporto possibile e poter così creare un sistema DNS allargato onde trarre maggiore possibilità di successo e affermazioni x tutte le componenti facenti parte e poter creare anke un piccolo business al fine di realizzare delle entrate economike atte a finanziare in parte il progetto stesso e poterlo così espandere e farlo conoscere sempre +.

Al fine di raggiungere qst primo obiettivo Edeniano si instaura un qota partecipativa minima annuale, da rinnovare, nn obbligatoriamente ma lo si sxa, ogni anno, x finanziare il progetto e il suo mantenimento e sviluppo nel tempo.
Tale qota permetterà di mantenere lo status di cittadino Edeniano e se nn rinnovata comporterà la perdita della cittadinanza Edeniana e la conseguente rimozione dall’Anagrafe dell’Isola Di Eden e la perdita di tutti i servizi resi disponibili al cittadino sul Server Dedicato, sia pubblici ke privati.

Inoltre, x motivare l’aggregazione al progetto e promuovere la continuità della cittadinanza, si considererà una politica di revenue sharing (condivisione o spartizione dei guadagni) x ogni cittadino Edeniano ke porterà un nuovo cittadino o una nuova attività, il tutto gestito tramite i c/c della futura Banca Centrale dell’Isola di Eden.
Il valore della revenue sharing sarà deciso di comune accordo alla prima riunione online del Governo Edeniano.

Preciso subito x la tranqillità di ognuno ke la Banca Centrale della libera Repubblica dell’Isola di Eden ovvero la ns BCIE aborra l’interesse e abbraccia lo spirito solidale e costruttivo della Finanza Islamica. Qst xkè Il Corano, il libro sacro dell’Islam, vieta l’usura, il “riba”, cioè gli interessi.
Gli arabi sn famosi nell’averci portato i numeri ke usiamo tutti i giorni e ke sn universali sul pianeta Terra ma anke x qst tipo di finanza etica e confacente i principi guida del popolo Edeniano. Tale pratica in Occidente viene nascosta o qantomeno nn praticata e divulgata in qanto la Finanza Occidentale è notoriamente costruita invece sulla pratica dell’interessa o usura a danno dei popoli e a favore dei Governi e della potente loggia finanziario/economica bancaria.

Nella seconda puntata a breve cerkerò di spiegarvi cm si intende realizzare  il sistema DNS e qali ISP presenti in rete offrono Server Dedicati in affitto in modo da conoscere l’importo dell’investimento ke è necessario effettuare complessivamente così da rendersi conto di qali sn le cifre in gioco e qindi pianificare una qota di investimento minimo a carico di ogni futuro cittadino Edeniano.

Vi invito intanto a discuterne, commentare e/o domandare kiarimenti e qant’altro, qi sul blog o nel forum o sul gruppo FaceBook.





Il Principato di Salerno

20 09 2010

Si diffonde, in Cilento, l’idea di abbandonare la Campania, x aderire al “Principato di Salerno” di storica memoria.

Il Principato di Salerno ebbe origine nell’839 in seguito alla frammentazione del Principato di Benevento ovvero della parte del regno longobardo chiamato “Longobardia Minore” (Langobardia Minor). Nella prima metà del 1000 comprendeva qasi tutta l’Italia meridionale continentale. Su Wikipedia i dettagli.

Roccagloriosa dice sì al distacco della Provincia di Salerno dalla Regione Campania. Con una delibera consiliare votata all’unanimità, il piccolo Comune dell’entroterra cilentano ha infatti aderito alla proposta di creazione della nuova regione del ‘Principato di Salerno’, e il conseguente distacco dalla Campania. Roccagloriosa è il primo Comune a sud di Salerno ad aver aderito alla proposta, lanciata nei mesi scorsi dal presidente della provincia Edomondo Cirielli.

Spiega Gerardino Cavaliere, sindaco di Roccagloriosa: “Non vi è alcuna volontà secessionistica nella decisione presa dal Consiglio comunale la scelta nasce dalla consapevolezza che in questi anni una politica regionale tutta imperniata su Napoli ha innegabilmente danneggiato le altre province, non permettendo a queste ultime alcun tipo di crescita e di sviluppo. La recente decisione di tagliare del numero delle guardie mediche, a tal proposito, la dice lunga sull’attenzione che da Napoli riservano alla provincia di Salerno. Il taglio, che ferisce il diritto alla salute dei cittadini del salernitano, servirà a far risparmiare appena l’uno per cento della spesa sanitaria regionale: uno schiaffo inaccettabile”. Dopo la delibera, il prossimo passo del piccolo Comune cilentano, che secondo alcuni avrebbe dato i natali nientemeno che al ‘napoletanissimo’ Antonio De Curtis, in arte Totò, sarà l’indizione di un referendum popolare per decidere l’eventuale adesione al ‘Principato di Salerno’ e il distacco dalla Regione Campania.”

Dopo il comune di Roccagloriosa ora la proposta prende corpo a Camerota.

“I gruppi di opposizione hanno chiesto infatti una seduta di Consiglio comunale per discutere della costituzione della “nuova regione”, che dovrebbe risolvere così il problema campano del “napolicentrismo”, valorizzando il territorio dell’entroterra. L’iniziativa è partita dai consiglieri comunali di “Forza Camerota-Pdl” e di “Insieme cambierà”, che hanno infatti presentato richiesta di convocazione del Consiglio ad hoc.

”Tutti i consiglieri di opposizione – ha spiegato il capogruppo di “Forza Camerota-Pdl”, Ciro Troccoli – hanno deciso di sostenere la proposta di costituzione di una nuova realtà regionale. Concordiamo infatti con l’ idea del presidente della Provincia di Salerno Cirielli che solo attraverso un rafforzamento dell’autonomia territoriale si possano superare i guasti provocati dal ‘napolicentrismo’. Confidiamo che anche i consiglieri di maggioranza siano favorevoli”.

Fonti: Il Blitz Quotidiano e infoagropoli.it





Il Belgio cm la Repubblica Cecoslovacca ?

8 09 2010

Tratto da un articolo da IlSole24ore.com ecco un’altra situazione europea ke si va configurando nel tempo cm una probabile scissione del territorio belga in 2 nuove entità nazionali e 2 futuri nuovi stati europei. Sembra di rivivere la scissione della ex Repubblica Cecoslovacca ke diede inizio nel 1993 a 2 nuove repubblike, qella Ceca e qella Slovacca.

Indubbiamente la voglia di indipendenza e di autodeterminazione è sempre + forte almeno in Europa e qst è x noi Edeniani un indubbio segnale ke i popoli si sentone sempre + prigionieri in nazioni in cui nn si riconoscono e di cui nn vogliono + far parte. Motivo in + x proseguire la ns marcia di autocostruzione della ns patria ke ci renda finalmente liberi e fieri di esserlo.

A seguire l’articolo:

Le Fiandre hanno dichiarato la secessione, il Belgio è nel caos, il sovrano è espatriato. Quando, nell’ultimo scorcio del 2006, la tv pubblica di lingua francese RTBF diede queste notizie in un telegiornale, il Belgio visse una mezz’ora di shock, finché sullo schermo non comparve la scritta “Questa è una fiction”.

Si trattava infatti di un’iniziativa di sapore situazionista, sullo stile di Orson Welles, per testare in tono scherzoso le reazioni a un possibile sviluppo di un contenzioso serissimo, quello che ormai da lungo tempo contrappone la comunità vallona (di lingua francese) a quella fiamminga (di lingua olandese). Ma se soltanto quattro anni fa sembrava trattarsi di fantascienza applicata all’analisi di una complicata situazione politica, ora assomiglia sempre più a uno scenario davvero possibile.

Negli ultimi giorni, per la prima volta, anche autorevoli esponenti della comunità francofona, tradizionalmente ostilissima a ipotesi di secessione, hanno fatto dichiarazioni inedite. Il ministro in carica alla Sanità e agli Affari sociali, Laurette Onkelinx, accreditata come possibile futura leader della principale formazione politica vallone, il Partito socialista, ha confidato in un’intervista che, benché lei si auguri che il paese resti unito, non si possono ignorare le spinte indipendentiste di una porzione importante dei fiamminghi. E anche altri dirigenti politici francofoni hanno fatto coro con parole analoghe.

Dopo lo “scherzo” televisivo del 2006, rivelatosi profetico forse più di quanto pensassero i suoi stessi ideatori, allora travolti dall’indignazione delle autorità di lingua francese, la situazione si è gradualmente incancrenita. Dopo le elezioni del 2007 il Belgio ha dovuto attendere ben otto mesi per confezionare un governo, alchemicamente costruito con il contributo di sette diversi partiti (tre francofoni e quattro fiamminghi). Dopo tanta attesa il risultato si è dimostrato modesto se nel giugno di quest’anno il Paese è tornato anticipatamente alle urne dopo che l’esecutivo era uscito spappolato dall’ennesima discussione in cui alla querelle linguistica si intreccia una lite sugli stanziamenti economici per le tre parti che compongono il Belgio federale: Fiandre, Vallonia e la regione di Bruxelles.

Anche questa volta la formazione di un governo appare impossibile. Il leader del Partito socialista francofono, Elio Di Rupo, ha rimesso l’incarico di formare il governo e il re ha dovuto chiedere aiuto ai presidenti di Camera e Senato (uno francofono, l’altro fiammingo) per provare a riavviare le difficili trattative tra i sette partiti che potrebbero far parte dell’esecutivo. Se anche la figura del sovrano impallidisce a causa della sua incapacità di esercitare un’efficace moral suasion sulle principali forze politiche affinché si costruisca se non un governo solido, quantomeno un esecutivo capace di insediarsi in modo più lesto di quanto accaduto nel 2007, il Belgio patisce l’impasse politica anche sulla scena internazionale, visto che nella seconda parte del 2010 proprio Bruxelles detiene la presidenza a rotazione dell’Unione europea.

Il contenzioso si può sintetizzare in questa maniera: Rispetto alla Vallonia, le Fiandre sono più popolose, più ricche (e più produttrici di ricchezza) e hanno un tasso di disoccupazione più basso. E molti dei suoi abitanti sono stufi di portare sulle spalle il fardello di una Vallonia economicamente più debole e quindi destinataria di fondi provenienti dalla porzione di lingua olandese del Paese. Sebbene, secondo numerosi sondaggi, la maggioranza della popolazione, anche nelle Fiandre, sia contraria a una separazione del paese, gli elettori fiamminghi continuano a votare partiti che hanno un forte anelito a una graduale secessione. Al punto che in pochi anni questa sembra essere, anche per alcuni francofoni fieramente contrari alla divisione del paese, una prospettiva assai più probabile di quanto non sembrasse nel servizio-bufala trasmesso soltanto quattro anni fa dalla tv pubblica della Vallonia.

In ogni caso una divisione del paese non sarebbe affatto così semplice. Perché se è chiaro qual è il confine che separa le Fiandre dalla Vallonia (che, per complicare le cose, ha una zona al suo interno in cui si parla tedesco, terza lingua riconosciuta ufficialmente dalla legge belga) rimane il nodo della regione di Bruxelles. La capitale potrebbe diventare oggetto di una guerra santa, sul modello di Gerusalemme. Bruxelles è geograficamente immersa nelle Fiandre, ma è zona bilingue, con una prevalenza gradualmente sempre più forte del francese. Non bastasse, oltre ai molti immigrati che vivono in città e che parlano quindi arabo o cinese, la massiccia presenza di funzionari Ue ha reso l’inglese un idioma molto diffuso come lingua franca.

C’è chi prospetta soluzioni innovative per questo busillis. Ad esempio sottrarre la regione di Bruxelles a ogni spartizione, rendendola una città-Stato sul modello del District of Columbia statunitense in cui collocare la capitale dell’Unione europea. Si tratterebbe di un’entità amministrativa sconosciuta all’attuale assetto dell’Ue, che andrebbe faticosamente studiata. Ma anche in questo caso le polemiche non si fermerebbero, visto che popolose cittadine dell’hinterland di Bruxelles, attualmente appartenenti alle Fiandre, hanno porzioni molto rilevanti, quando non maggioritarie di cittadini francofoni. Ma i fiamminghi acconsentiranno ben difficilmente a proposte di ingrandimento della regione di Bruxelles ai danni (territoriali) delle Fiandre, così come i francofoni non accetterebbero di lasciare decine di migliaia di belgi che parlano la loro stessa lingua come sparuta minoranza nelle Fiandre indipendenti.

Nonostante la divisione del paese cominci a essere una prospettiva palpabile, molti credono che si tratti di una strada impercorribile. Ad esempio Le Monde ha ricordato che il trattato di Lisbona contempla la fuoriuscita di uno Stato dall’Ue ma non una scissione. E quindi – scrive il quotidiano francese – “i ‘due nuovi paesi’ belgi dovrebbero rimandare la loro adesione, negoziare i 35 capitoli molto complessi, ottenere l’avallo dei 26 Stati attualmente membri e ridiscutere il loro reingresso nella moneta unica”. Così, secondo alcuni analisti, l’accelerazione dei politici francofoni che, pur avversandola, cominciano a parlare liberamente di una possibile divisione del paese sarebbe soltanto un modo per mettere spalle al muro i fiamminghi, costretti ad adattare i proclami secessionisti alla complessità della loro realizzazione. E in effetti Bart de Wever, il leader del NVA, il principale partito delle Fiandre, uscito vincitore di stretta misura sui socialisti francofoni (27 seggi a 26) ha dichiarato che “drammatizzare la situazione non aiuta; i politici devono mostrare il loro senso di responsabilità”.





Un saggio sull’Autodeterminazione

6 08 2010

Tratto da Cooperazione SVILUPPO.org un approfondito saggio sul tema dell’autodeterminazione dei popoli, argomento ke ci tocca da vicino nella ns strada x la realizzazione della libera Repubblica dell’Isola di Eden:

Autodeterminazione: da principio giuridico a diritto dei popoli?

Fino alla prima guerra mondiale, il principio di autodeterminazione ha avuto esclusivamente portata politica, dal momento che non gravava sugli Stati alcun obbligo relativamente al riconoscimento del diritto all’autodeterminazione.

Le prime enunciazioni vengono ascritte alla rivoluzione americana, con la Dichiarazione di indipendenza del 7 giugno 1776, e alla rivoluzione francese con la Dichiarazione del diritto delle genti, sottoposta all’Abate Grégoire alla Convenzione del 1795 e poi non adottata dell’Assemblea.

Il principio intende sancire la liberazione dei popoli da ogni oppressione esterna ed interna anche se poi, nella sua applicazione pratica, nel corso dell’800 si è manifestato solo nel principio di nazionalità, svolgendo un ruolo rilevante nella formazione degli Stati europei (Italia e Germania in particolare).

Nei trattati di pace conclusivi della prima guerra mondiale, anche se nel senso limitato di principio di nazionalità, il principio di autodeterminazione assume portata giuridica divenendo oggetto di norme internazionali pattizie.

Il principio non assunse alcun rilievo nell’ambito del Patto della Società delle Nazioni per timore che potesse costituire la base giuridica per la legittimazione di eventuali pretese secessionistiche.

Si realizzò nello smantellamento di alcuni Stati plurinazionali (l’Impero austro-ungarico e quello ottomano) mentre per i popoli coloniali si istituì il sistema dei mandati.

Con la seconda guerra mondiale, a seguito dei tragici eventi verificatisi prima, durante e dopo il conflitto, il principio è consacrato in una convenzione internazionale universale, la Carta delle Nazioni Unite. Esso è contenuto nell’articolo 1, paragrafo 2 e nell’articolo 55. Tra gli scopi dell’Organizzazione si enuncia quello di sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto del principio dell’eguaglianza dei diritti dei popoli e del loro diritto all’autodeterminazione. Inoltre, attraverso lo sviluppo della cooperazione internazionale in campo economico e sociale (art. 56), le Nazioni Unite si propongono di creare le condizioni di stabilità e di benessere che sono necessarie per ottenere relazioni pacifiche ed amichevoli tra le nazioni, basate sul rispetto del principio dell’eguaglianza dei diritti e all’autodecisione dei popoli.

Dall’esame degli articoli emerge innanzitutto che non si tratta di un obbligo da ottemperare nell’immediato ma di una blanda e generica previsione di un programma d’azione.

Emerge inoltre che l’autodeterminazione non è un fine in sé perseguito dall’ONU ma è funzionale al perseguimento del fine ultimo dell’organizzazione: la pace internazionale. Se l’applicazione di tale principio provoca tensioni e conflitti tra Stati, ad esso si deve rinunciare.

Infine, dalla Carta di evince che il termine autodeterminazione è inteso nel senso di autogoverno e non di indipendenza. L’indipendenza è riservata ai territori sottoposti ad amministrazioni fiduciarie, già sottoposti al dominio delle potenze sconfitte (art. 76, lett. b); ai territori non autonomi sottoposti al dominio delle potenze vincitrici viene concesso l’autogoverno (art. 73 lett. b).

L’autodeterminazione, dunque, era intesa in senso negativo: come obbligo gravante su tutti gli Stati di non interferire, con minacce o azioni coercitive o pressioni, sulle libere scelte operate nell’ambito di Stati stranieri.

In questo modo il principio coincideva con quello di non ingerenza negli affari interni di altri Stati.

Alla fine degli anni 50, l’autodeterminazione iniziò ad essere intesa in senso positivo, come obbligo gravante su un governo che occupa un territorio non suo di lasciare che il popolo possa determinare il proprio destino.

Più recentemente l’autodeterminazione si è affermata, secondo parte della dottrina, come diritto dei popoli. Nei Patti delle Nazioni Unite sui diritti umani del 1966 si afferma, all’articolo 1, che

tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione e che, in virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale.

Per raggiungere i loro fini, inoltre, tutti i popoli possono disporre liberamente delle proprie ricchezze e delle proprie risorse naturali senza pregiudizio degli obblighi derivanti dalla cooperazione economica internazionale, fondata sul principio del mutuo interesse, e dal diritto internazionale. In nessun caso un popolo può essere privato dei propri mezzi di sussistenza.

Gli Stati parti del presente Patto, ivi compresi quelli che sono responsabili dell’amministrazione di territori non autonomi e di territori in amministrazione fiduciaria, debbono promuovere 1′ attuazione del diritto di autodeterminazione dei popoli e rispettare tale diritto, in conformità alle disposizioni dello Statuto delle Nazioni Unite”.

Ciononostante, secondo la dottrina maggioritaria, l’obbligo di rispettare il principio di autodeterminazione incombe sugli Stati ed i popoli non sarebbero titolari di alcun diritto ma possono essere considerati solo i concreti beneficiari delle disposizioni internazionali esistenti in materia. Tuttavia, ciò non significa che in caso di violazione dell’obbligo in tema di autodeterminazione, essi restino privi di tutela.

In caso di violazione, ciascuno Stato della comunità internazionale, operante per conto della stessa comunità, è potenzialmente legittimato ad agire al fine di tutelare tali interessi. Di conseguenza, la dottrina maggioritaria ritiene che i popoli, pur non essendo titolari del diritto, non resterebbero privi di tutela perché l’interesse della volontà popolare sarebbe esigibile dalla stessa comunità internazionale.

Beneficiari

I beneficiari del principio di autodeterminazione sono i popoli nel loro complesso e non i Movimenti di liberazione nazionale (MLN). Al fine del godimento della protezione accordata dall’ordinamento internazionale, infatti, è irrilevante che il popolo che esercita il proprio diritto all’autodeterminazione sia o meno organizzato in un MLN. Una simile ricostruzione potrebbe lasciare intendere che solo i MLN dotati di una certa organizzazione di governo e in grado di esercitare un effettivo controllo sul territorio possono legittimamente rivendicare l’autodeterminazione del popolo che rappresentano.

Ciò che qualifica il popolo a livello internazionale non è il controllo effettivo di una parte del territorio ma il fine qualificato da essi perseguito, ovvero la liberazione dalla dominazione coloniale, razzista o dall’occupazione straniera.

Portata e contenuto del principio di autodeterminazione

La questione di quale sia il contenuto del principio di autodeterminazione in quanto principio giuridico è particolarmente incerta in quanto si tratta di desumerlo da fonti giuridiche diverse, da una prassi fortemente condizionata da influenze politiche e dai collegamenti con altri aspetti del diritto internazionale, quali quello della soggettività internazionale.

In linea con la dottrina maggioritaria (tra gli altri Conforti, Shaw, Higgins e Frank), bisogna riconoscere che il principio di autodeterminazione ha ancora oggi un campo di applicazione ristretto essendo inteso come autodeterminazione esterna.

In questo senso si applica ai popoli sottoposti a un governo straniero ossia:

  • popoli soggetti a dominazione coloniale
  • popoli soggetti ad un regime razzista (Rodesia del Sud anni 60, Sudafrica)
  • popoli di territori conquistati ed occupati con la forza (come i territori arabi occupati da Israele dopo il 1967 – Conforti).

Fino agli anni 60 l’applicazione del principio ha riguardato i popoli soggetti a dominazione coloniale. A partire dalla metà degli anni 60 il principio ha cominciato ad applicarsi anche alle altre due categorie.

Comporta il diritto dei popoli sottoposti a dominazione straniera di divenire indipendenti, di associarsi od integrarsi con altro Stato o comunque di scegliere liberamente il proprio regime politico.

È inoltre un principio irretroattivo: la dominazione straniera non deve risalire oltre l’epoca in cui il principio stesso si è affermato come principio giuridico (ovvero dopo la seconda guerra mondiale). Non si applica dunque ai territori che furono oggetto di occupazioni o annessioni in seguito alla prima guerra mondiale, come Estonia, Lettonia, Lituania che furono occupate ed annesse dall’URSS nel 1940. non si può parlare di autodeterminazione per cui la loro indipendenza costituisce un esempio di formazione di nuovi Stati per distacco.

Quanto alla dominazione coloniale occorre fare delle precisazioni. All’epoca della formazione della Carta ONU il principio era inteso in senso negativo come obbligo di non ingerenza negli affari di altri Stati. Nell’ambito delle Nazioni Unite, si è formata una regola che attribuisce all’Assemblea Generale la competenza a decidere con effetti vincolanti per tutti circa la sorte dei territori coloniali, conformandosi al principio di autodeterminazione altrimenti la decisione è illegittima. L’Assemblea può anche decidere anche senza consultare gli abitanti del territorio purché se ne rispetti la volontà (Parere 1975, Sahara occidentale).

Una parte minoritaria della dottrina, tra cui la dottoressa Lattanzi, vede il contenuto del principio riferito non solo all’autodeterminazione esterna ma anche all’autodeterminazione interna.

Questa valorizza la distinzione tra governo e governati, sancisce il dovere di ogni Stato di godere del consenso della maggioranza dei sudditi e di garantire al popolo non solo la possibilità di esprimersi liberamente circa la propria struttura politica ma anche di modificarla qualora esso non si riconoscesse più nel regime vigente, in modo da assicurare la corrispondenza tra volontà popolare e governativa.

La maggior parte della dottrina esclude che il Governo debba godere del consenso della maggioranza dei sudditi e debba essere da costoro liberamente scelto o debba avallare le aspirazioni secessionistiche di regioni più o meno autonome o etnicamente distinte dal resto del Paese.

Non bisogna confondere il principio di autodeterminazione con le norme sui diritti umani che impongono al governo di rispettare la dignità dei suoi cittadini o prevedono espressamente, ad esempio, il diritto dei singoli a partecipare a libere elezioni (art, 3 Convenzione europea dei diritti dell’uomo, art. 23 Patto internazionale sui diritti civili e politici).

Modalità di esercizio

Le modalità di esercizio del principio di autodeterminazione enucleate dalla prassi delle Nazioni Unite sono state influenzate dalla duplice preoccupazione di elaborare strumenti giuridici volti, da un lato, a favorire l’accesso all’indipendenza dei popoli coloniali e, dall’altro, a limitare l’applicazione del principio di autodeterminazione.

L’esercizio dell’autodeterminazione si fonda su quattro obblighi fondamentali:

  1. Obbligo di consultare il popolo colonizzato sottoposto a dominazione straniera.
  2. l’autodeterminazione deve realizzarsi nel quadro delle frontiere coloniali stabilite, conformemente al principio dell’uti possidetis juris
  3. è lecita la lotta condotta dal popolo oppresso mediante l’uso della forza, come ultima ratio. La Risoluzione dell’Assemblea Generale n. 3314 del 1974 relativa alla definizione dell’aggressione non esclude che i popoli sottoposti a regimi coloniali, razzisti o ad altre forme di dominio straniero possano lottare ai fini della loro autodeterminazione libertà e indipendenza.
  4. è lecita la lotta condotta dal popolo oppresso mediante l’uso della forza organizzato in un MLN. Questi ultimi non possono considerarsi titolari del diritto all’uso della forza, ma non possono essere ritenuti responsabili per violazioni del diritto internazionale se utilizzano la forza armata per reagire alla negazione, con la forza, del diritto all’autodeterminazione. In una simile eventualità il conflitto diventa internazionale, ad esso si applica il primo protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 1949, che consente l’intervento di terzi, che tuttavia non possono usare la forza contro lo Stato che soffoca l’autodeterminazione ma possono solo fornire assistenza.

Il problema però riguarda le forme di questa assistenza: aiuto politico, economico, umanitario o militare. E In caso di assistenza militare, semplice fornitura di armi o invio di truppe a sostegno del popolo oppresso?

Come sancito dalla Dichiarazione sulle relazioni amichevoli del 1970 e della Dichiarazione sulla definizione di aggressione del 1974 e ribadito dalla Corte Internazionale di Giustizia nella pronuncia del 27 giugno 1986 relativa alle attività militari e paramilitari in e contro il Nicaragua, l’assistenza è legittima. La lotta per l’autodeterminazione non può infatti essere disciplinata alla stessa stregua delle guerre civili. Il divieto di assistenza ai movimenti insurrezionali non trova applicazione nel caso di conflitti connessi con la dominazione coloniale, razzista o straniera.

Le divergenze riguardano la natura dell’aiuto che gli Stati sono legittimati a dare, in particolare l’intervento armato (sia diretto che indiretto).

Inizialmente, gli Stati afroasiatici, socialisti e dell’America Latina sostenevano la liceità di aiuti non solo di carattere umanitario, politico e finanziario ma anche militare. Tale opinione è stata sempre contestata dagli Stati occidentali. Per questo motivo le uniche risoluzioni adottate per consensus sono state quelle che hanno affermato genericamente che l’aiuto deve essere conforme ai fini perseguiti dalle Nazioni Unite senza specificarne la natura o il tipo.

Con il tempo, la maggior parte degli Stati ha accettano la legittimità dell’intervento armato indiretto. A partire dagli anni Settanta, il Consiglio di Sicurezza ha infatti appoggiato nelle risoluzioni il sostegno militare indiretto.

L’intervento armato indiretto non costituisce oggetto di nessuna norma consuetudinaria. La clausola di salvaguardia inserita nell’articolo 7 della Dichiarazione sulla definizione di aggressione del 1974 sancisce che gli articoli che proibiscono l’aggressione non pregiudicano il diritto all’autodeterminazione dei popoli che ne sono privati con la forza. Gli Stati che sostengono militarmente un popolo oppresso, quindi, non commettono aggressione e dunque un illecito internazionale. In passato il Consiglio di Sicurezza ha condannato i governi oppressori ma non si è mai pronunciato contro il sostegno prestato dai Front-line States ai MLN, riconoscendo implicitamente che l’aiuto diretto ai popoli in lotto non costituisce un illecito uso della forza armata.

Fonti: Arangio Ruiz G. Autodeterminazione (diritto dei popoli alla) in Enciclopedia Giuridica, Roma, 1988

Carbone – Luzzato – Santa Maria, Istituzioni di diritto Internazionale, Torino – Giappichelli, 2006

Conforti, Diritto internazionale, Napoli – Editoriale Scientifica, 1996.

Treves, Diritto internazionale, Giuffrè Editore, 2005