Tratto da un articolo da IlSole24ore.com ecco un’altra situazione europea ke si va configurando nel tempo cm una probabile scissione del territorio belga in 2 nuove entità nazionali e 2 futuri nuovi stati europei. Sembra di rivivere la scissione della ex Repubblica Cecoslovacca ke diede inizio nel 1993 a 2 nuove repubblike, qella Ceca e qella Slovacca.
Indubbiamente la voglia di indipendenza e di autodeterminazione è sempre + forte almeno in Europa e qst è x noi Edeniani un indubbio segnale ke i popoli si sentone sempre + prigionieri in nazioni in cui nn si riconoscono e di cui nn vogliono + far parte. Motivo in + x proseguire la ns marcia di autocostruzione della ns patria ke ci renda finalmente liberi e fieri di esserlo.
A seguire l’articolo:
Le Fiandre hanno dichiarato la secessione, il Belgio è nel caos, il sovrano è espatriato. Quando, nell’ultimo scorcio del 2006, la tv pubblica di lingua francese RTBF diede queste notizie in un telegiornale, il Belgio visse una mezz’ora di shock, finché sullo schermo non comparve la scritta “Questa è una fiction”.
Si trattava infatti di un’iniziativa di sapore situazionista, sullo stile di Orson Welles, per testare in tono scherzoso le reazioni a un possibile sviluppo di un contenzioso serissimo, quello che ormai da lungo tempo contrappone la comunità vallona (di lingua francese) a quella fiamminga (di lingua olandese). Ma se soltanto quattro anni fa sembrava trattarsi di fantascienza applicata all’analisi di una complicata situazione politica, ora assomiglia sempre più a uno scenario davvero possibile.
Negli ultimi giorni, per la prima volta, anche autorevoli esponenti della comunità francofona, tradizionalmente ostilissima a ipotesi di secessione, hanno fatto dichiarazioni inedite. Il ministro in carica alla Sanità e agli Affari sociali, Laurette Onkelinx, accreditata come possibile futura leader della principale formazione politica vallone, il Partito socialista, ha confidato in un’intervista che, benché lei si auguri che il paese resti unito, non si possono ignorare le spinte indipendentiste di una porzione importante dei fiamminghi. E anche altri dirigenti politici francofoni hanno fatto coro con parole analoghe.
Dopo lo “scherzo” televisivo del 2006, rivelatosi profetico forse più di quanto pensassero i suoi stessi ideatori, allora travolti dall’indignazione delle autorità di lingua francese, la situazione si è gradualmente incancrenita. Dopo le elezioni del 2007 il Belgio ha dovuto attendere ben otto mesi per confezionare un governo, alchemicamente costruito con il contributo di sette diversi partiti (tre francofoni e quattro fiamminghi). Dopo tanta attesa il risultato si è dimostrato modesto se nel giugno di quest’anno il Paese è tornato anticipatamente alle urne dopo che l’esecutivo era uscito spappolato dall’ennesima discussione in cui alla querelle linguistica si intreccia una lite sugli stanziamenti economici per le tre parti che compongono il Belgio federale: Fiandre, Vallonia e la regione di Bruxelles.
Anche questa volta la formazione di un governo appare impossibile. Il leader del Partito socialista francofono, Elio Di Rupo, ha rimesso l’incarico di formare il governo e il re ha dovuto chiedere aiuto ai presidenti di Camera e Senato (uno francofono, l’altro fiammingo) per provare a riavviare le difficili trattative tra i sette partiti che potrebbero far parte dell’esecutivo. Se anche la figura del sovrano impallidisce a causa della sua incapacità di esercitare un’efficace moral suasion sulle principali forze politiche affinché si costruisca se non un governo solido, quantomeno un esecutivo capace di insediarsi in modo più lesto di quanto accaduto nel 2007, il Belgio patisce l’impasse politica anche sulla scena internazionale, visto che nella seconda parte del 2010 proprio Bruxelles detiene la presidenza a rotazione dell’Unione europea.
Il contenzioso si può sintetizzare in questa maniera: Rispetto alla Vallonia, le Fiandre sono più popolose, più ricche (e più produttrici di ricchezza) e hanno un tasso di disoccupazione più basso. E molti dei suoi abitanti sono stufi di portare sulle spalle il fardello di una Vallonia economicamente più debole e quindi destinataria di fondi provenienti dalla porzione di lingua olandese del Paese. Sebbene, secondo numerosi sondaggi, la maggioranza della popolazione, anche nelle Fiandre, sia contraria a una separazione del paese, gli elettori fiamminghi continuano a votare partiti che hanno un forte anelito a una graduale secessione. Al punto che in pochi anni questa sembra essere, anche per alcuni francofoni fieramente contrari alla divisione del paese, una prospettiva assai più probabile di quanto non sembrasse nel servizio-bufala trasmesso soltanto quattro anni fa dalla tv pubblica della Vallonia.
In ogni caso una divisione del paese non sarebbe affatto così semplice. Perché se è chiaro qual è il confine che separa le Fiandre dalla Vallonia (che, per complicare le cose, ha una zona al suo interno in cui si parla tedesco, terza lingua riconosciuta ufficialmente dalla legge belga) rimane il nodo della regione di Bruxelles. La capitale potrebbe diventare oggetto di una guerra santa, sul modello di Gerusalemme. Bruxelles è geograficamente immersa nelle Fiandre, ma è zona bilingue, con una prevalenza gradualmente sempre più forte del francese. Non bastasse, oltre ai molti immigrati che vivono in città e che parlano quindi arabo o cinese, la massiccia presenza di funzionari Ue ha reso l’inglese un idioma molto diffuso come lingua franca.
C’è chi prospetta soluzioni innovative per questo busillis. Ad esempio sottrarre la regione di Bruxelles a ogni spartizione, rendendola una città-Stato sul modello del District of Columbia statunitense in cui collocare la capitale dell’Unione europea. Si tratterebbe di un’entità amministrativa sconosciuta all’attuale assetto dell’Ue, che andrebbe faticosamente studiata. Ma anche in questo caso le polemiche non si fermerebbero, visto che popolose cittadine dell’hinterland di Bruxelles, attualmente appartenenti alle Fiandre, hanno porzioni molto rilevanti, quando non maggioritarie di cittadini francofoni. Ma i fiamminghi acconsentiranno ben difficilmente a proposte di ingrandimento della regione di Bruxelles ai danni (territoriali) delle Fiandre, così come i francofoni non accetterebbero di lasciare decine di migliaia di belgi che parlano la loro stessa lingua come sparuta minoranza nelle Fiandre indipendenti.
Nonostante la divisione del paese cominci a essere una prospettiva palpabile, molti credono che si tratti di una strada impercorribile. Ad esempio Le Monde ha ricordato che il trattato di Lisbona contempla la fuoriuscita di uno Stato dall’Ue ma non una scissione. E quindi – scrive il quotidiano francese – “i ‘due nuovi paesi’ belgi dovrebbero rimandare la loro adesione, negoziare i 35 capitoli molto complessi, ottenere l’avallo dei 26 Stati attualmente membri e ridiscutere il loro reingresso nella moneta unica”. Così, secondo alcuni analisti, l’accelerazione dei politici francofoni che, pur avversandola, cominciano a parlare liberamente di una possibile divisione del paese sarebbe soltanto un modo per mettere spalle al muro i fiamminghi, costretti ad adattare i proclami secessionisti alla complessità della loro realizzazione. E in effetti Bart de Wever, il leader del NVA, il principale partito delle Fiandre, uscito vincitore di stretta misura sui socialisti francofoni (27 seggi a 26) ha dichiarato che “drammatizzare la situazione non aiuta; i politici devono mostrare il loro senso di responsabilità”.
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